Un viaggio inedito
Un viaggio intimo ed indimenticabile, un inizio, una nuova esperienza di vita e una nuova storia da raccontare, un viaggio che rimarrà pieno di racconti, risa, odori, sapori, il positivo e il negativo, il meraviglioso, un viaggio avventuriero, insospettabile, nato dal nulla, o, per dirlo meglio, nato dalla voglia di ossigeno, di un ossigeno diverso, mescolato tra persone e ambienti mai visti e conosciuti.
Questo viaggio costituisce un itinerario non programmato, con l’opportunità di scoprire e di scoprirsi. Questa avventura inizia come sempre con qualcosa di nuovo e di sconosciuto che potrà facilmente staccarci dal nostro mondo reale per trasformarlo in un’esperienza indimenticabile.
Venerdì 30 maggio mi sono svegliata con la voglia di fare un piccolo viaggio nel fine settimana ed ho iniziato ad organizzarmi pensando alle opzioni tipiche “montagna o mare”, ma la prima opzione non mi convinceva visto che per Guido MONTAGNA è uguale a FREDDO.
Ho iniziato ad informarmi cercando pacchetti viaggio e altre informazioni, e quando sabato sera Guido è tornato a casa (erano quasi le 19.00) io ero ancora al computer cercando la sorpresa,controllando cosa potevamo fare per uscire dalla routine e respirare un poco di aria nuova,improvvisamente passa per la mente di Guido di domandare: “Andiamo in terraferma?”.
Era come se mi avesse rubato tutte le idee e allo stesso tempo rovinato la sorpresa che avevo pensato per i giorni a venire, solo l’ho guardato e gli ho risposto : “Sei serio? Ok, partiamo!”.
Senza molta fretta sono andata in camera ed ho iniziato a preparare una piccola valigia infilandoci le prime cose che vedevo (in realtà, in quel momento, non sapevo cosa stavo mettendo in valigia).
Infatti, alla fine, più che turisti sembravamo due “mochileros”.
In pochi minuti ero pronta e partimmo da casa: sentivo di aver dimenticato qualcosa ma non me ne fregava niente.
Appena arrivati al porto Punta de Piedras, non era sicura se avremmo trovato i biglietti o meno: sorprendentemente erano disponibili e in pochi minuti (erano circa le 20,30) eravamo imbarcati per la terraferma. Puerto la Cruz.
Mille emozioni iniziarono a pervadermi, compreso un velato senso di ansia legato al nuovo che arrivava (per dirlo in maniera più semplice, non sono la persona più adatta a viaggiare di notte, mi sentivo insicura anche perchè la nostra macchina era stata poco prima dal meccanico e non è che confidavo molto in essa). Pensavo a tutto e a niente: e se si fora un pneumatico? E se rimaniamo bloccati in quache via oscura? Ma ormai eravamo già nel traghetto; in quel traghetto che mi ha fatto ridere perché quella classe denominata VIP in realtà era paragonabile a una terza classe nella quale si stava, per l’aria condizionata, come in un igloo con i pinguini..Che freddooo!!
La maggior parte del tempo l’abbiamo passata sul ponte, a volte scendevamo perché avevamo fame e per la cena (cena??).
Guido si è buttato su due pezzi di pizza e acqua, io feci due variazioni di gusto: un “pastel de pollo” e una empanadas con salsa di pizza accompagnata da un succo di mele.
Infine abbiamo preso un caffè e siamo risaliti sul ponte per fare due chiacchiere, fumarsi una sigaretta e per attendere l’arrivo a Puerto la Cruz.
Era già mezzanotte e il fatto di dover prendere l’auto a notte fonda non mi andava un gran che, ma da buona copilota (questo dovreste chiederlo a Guido) sttavo attenta ai fari delle auto, a cambiare la musica, alle buche nella strada, tieni la destra, pulisco i vetri, tutto bene?
Sei stanco? Ti do’ una mano? Controllavo la benzina, a quanto stavamo come velocità, per non farlgi superare i MIEI limiti (dato che i limiti partivano da 120 km/h in su), mi impegnavo accendergli una Marlboro, offrirgli l’acqua per bere, accarezzargli il braccio destro,che era l’unico che tenevo vicino, trasformarmi in cantante e spippolando sulla radio cercando la stazione FM più adatta, poi commenti, risa, scherzi, lettura delle indicazioni stradali (anche se non erano molto visibili, il mio occhio clinico le visualizzava perfettamente). Poi, la cosa più importante: tenevo d’occhio il navigatore.
Sono stata ME-RA-VI-GLIO-SA (chiedetelo a Guido se non ci credete).
CI incamminammo per la rotta che il navigatore indicava come “tratto di strada sconosciuto” ( questo sì che era molto interessante). Il percorso doveva essere di 7h e 23 m con approssimativamente 613 km da percorrere.
Da Puerto la Cruz arrivammo a Barcellona e da li prendemmo la autostrada (!) Barcellona- Piritù, Piritù- Clarines, da li Clarines- Boca de Uchire, sino a Caucagua. In queste due ore di viaggio quasi 125 km, dove le uniche cose che abbiamo viste sono state le luci dei camion che sfrecciavano a 140 km/h: il nulla più completo, come nella “bocca del lupo”.
Arrivati a Caucagua, una breve sosta in uno di quei distributori aperti 24h per quelli che viaggiano di notte, roba per camionisti avventurieri e guidatori di Bus: dove abbiamo comprato le Marlboro, caffè, qualche galletta, succhi di frutta e addirittura un insperato gelato Magnum per Guido,e mentre ci dilettavamo con tutte le particolarità che ci circondavano, abbiamo finito di fumare e siamo rimontati in macchina.
Da Puerto la Cruz avevamo già percorso quasi 255 km: non male. Da Caucagua a Guatire per poi proseguire per Caracas ma.. Il navigatore entrò in totale confusione:il tempo di fare un rest e ricominciare e già eravamo in una strada che invece di portarci alle autostrade ci portava verso la montagna e, dunque, senza mezzi termini: ufficialmente persi.
Proseguimmo fino a una stazione della Guardia Nacional e chiedemmo “scusate, ma da qui si va a Maracay? E’ Pericoloso?”
La risposta fu: “Andate a dritto, sempre a diritto, e non vi fermate mai per niente e per nessuno.”.
Bene, guardando il suo orologio, a questa ora non è tanto pericoloso.
Volete sapere come è finita? Nella mia vita non avevo mai visto un luogo come quello: ansie e paure amplificati per più di un’ora, un numero di curve spaventoso che non finivano mai. Non voglio esagerare ma stavamo davvero vedendo l’inferno, indovina dove eravamo finiti? A ”Los Teques” Santa Madre, uno dei barrios più pericolosi di Caracas; così sono scomparsi dentro di me il sonno e la stanchezza, l’unico che realmente volevamo era che non ci succedesse qualche tipo di incidente (soprattutto per Guido che è straniero in Venezuela) però al finale di tanta tensione uscimmo dall’incubo e visualizzammo la strada che ci portava alla autostrada.
Finalmente la luce, l’autostrada che portava a Maracay, La Victoria, e da là a strada per salire in montagna fino alla Colonia Tovar, la nostra prima tappa per riposarsi e poi continuare fino a Guacara, Valencia, Puerto cabello e arrivare al nostro destino definitivo:Morrocoy.
La nostra prima tappa fu quindi la Colonia Tovar, un piccolo paese fondato dai tedeschi in una montagna di Estadio Aragua. Posso affermare che per raggiungere quella zona sia molto più adatta una 4*4, avere buoni freni e esperienza soprattutto nelle curve. Esperienza in curva? sì le uniche curve che conosco sono le mie!
In direzione della Colonia chiedemmo aiuto ai funzionari di polizia per raggiungere la nostra meta e loro furono così gentili da accompagnarci sino all’imbocco della strada per Colonia. A quel punto le mie insistenze per farmi cedere la guida si fecero pressati anche perchè gli occhi del mio pilota erano sempre più stanchi, la stanchezza rendeva il battere di ciglia sempre più lento e gridava “posso addormentarmi in qualsiasi momento!”.
Da buon copilota ( questo lo dico io) presi il posto di Guido: non sapevo in cosa mi stavo mettendo e neanche cosa sarebbero stati questi 45 minuti dentro le montagne eppure l’emozione e la forza del viaggio fecero scomparire la mia stanchezza.
L’estasi dell’enormità del verde che ci circondava, dell’aria fredda, del silenzio e allo stesso momento lottavo con il cambio dell’auto : prima, seconda, prima, seconda.
Era estenuante, uffa! E Guido ha avuto davvero coraggio e fiducia nel lasciarmi guidare l’auto su una strada del genere a lasciarmi continuare per raggiungere la prima meta. Già all’arrivo notammo i tetti rosse delle case della Colonia, i campi di fragole, di pesche: un paesaggio estratto dalla paletta dei colori, iniziammo a cercare un posto dove dormire ma le locande erano tutte al completo, era domenica e molti visitatori se ne andavano al mattino, molti altri nel primo pomeriggio.
Stanchissimi, trovammo un parcheggio per la nostra macchina e decidemmo di fare una camminata, passeggiando tra i chioschi di frutta e verdura fresca talmente perfetti che sembravano di plastica e ti invitavano a comprare tutto quello che vedevi, la gente, gli aromi e il rintocco delle campane. Trovammo infine l’Hotel Selva Negra, un alloggio molto colorato di cui avevo sentito parlare, e bene, molti anni prima come di un posto molto pulito e ordinato..Finalmente avevamo trovato un posto dove dormire.
Dormire? Erano appena le otto del mattino e non riuscivamo a concludere nulla: facemmo così colazione in albergo e visto che il check in era a mezzogiorno ( nel bel mezzo di un’invasione di mosche: era la stagione delle mosche!) andammo a dormire in macchina.
Guido cadde subito in coma iniziando allegramente a ronfare: io invece, tra mosche, veramente fastidiose, e il russare di Guido, preferivo le campane, non ci riuscivo.
Riuscimmo finalmente a passare una notte nell’Hotel Selva Negra, icona della Colonia e primo albergo costruito nel paese. Cenammo e bevvi due ottime birre artigianali del posto, levataccia nel primo mattino, colazione da fuggitivi e via, ci reincamminammo. Questa volta fu Guido a incaricarsi di guidare ella famosa strada delle curve e dei dirupi.
Molto interessante il fatto che la Colonia Tovar, nonostante sia in Venezuela, mantenga ancora i tratti tipici tedeschi, dall’architettura alla tradizione culinaria.
Le speranze della mia prenotazione a Chicirivice, prima di arrivare a Morrocoy
Prima di uscire da Porlamar, avevo fatto una prenotazione in un albergo che credevo essere in Morrocoy, invece era a Chichiriviche. In egual modo non avevamo nessun problema con questo visto che lo scopo del viaggio era quello di godersi qualche giorno di relax. Quasi arrivati decisi di telefonare per annunciare che di lì a poco saremmo arrivati: ring, ring, ring, ring…passarono 40 minuti e niente. Non avendo ricevuto alcuna risposta entrammo nel villaggio di Morrocoy in cerca della posada riservata, vidi la posada Ardileña che già conoscevo per averla trovata più volte nei miei viaggi in Internet, e continuando il nostro percorso iniziammo a chiedere dove si trovasse la posada. Risposero che probabilmente si trovava nella zona di Chichiriviche o Tucacas ma non era lì nel parco di Morrocoy.
Non rappresentava un problema dato che il fine ultimo del viaggio era rilassarsi.. così decidemmo di chiamare per annunciare il nostro arrivo.
Così ci dirigemmo in quella direzione arrivando finalmente alla meta. Bussammo al portone e una voce dall’interno gridò “Ya Vaaaaa!!!”( un modo di dire aspetta in maniera molto scocciata, Guido la odia questa espressione), una signora che della signora non aveva niente ci aprì, entrammo e chiedemmo della persona alla quale avevo passato la mia prenotazione, visto che al numero che avevo non mi aveva risposto nessuno.
La signora rispose: “Strano,si vede che sta riposando, ha mangiato ed è andata a dormire”.
La guardai perplessa e la seguimmo fino all’abitazione. Posso affermare che l’hotel non era male ma che realmente non era quello che avevo visto dalle foto, non si poteva certo definire il massimo. Guardammo, salutammo e ce ne andammo da quel posto.. anche perchè mi è bastato guardare la faccia di Guido già che con questa aveva detto, senza aprire bocca, assolutamente tutto!
In realtà, in quanto venezuelana, devo dire che non era il posto che speravo, non solo l’hotel ma anche il posto dove questa è posizionata: mi vennero in mente decine di commenti che avevo ascoltato che realmente mi sembrava impossibile fossero veri ; a me , vedendolo, mi vennero in mente solo 10 parole:, questo sembra un villaggio di sopravvissuti dopo una guerra; è ridicolo esprimersi così, ma era la realtà.
Usciti da li, decidemmo di cercare un numero di telefono e chiamare, feci una sola chiamata , quella che ci avrebbe portato in paradiso, cancellando la delusione appena vissuta; girammo l’auto, e ci dirigemmo convinti verso la posada Ardileña.
Arrivati a destinazione suonammo al citofono e le prime parole che sentimmo furono le seguenti “Buongiorno signora Abby, benvenuta alla posada Ardileña”: fu musica per le mie orecchie:ci stavano dando il benvenuto in una maniera così calorosa e ancora nessuno aveva aperto la porta,fu fantastico. Si aprì l’enorme portone di legno, c’era un signore con un sombrero di paglia e un sorriso cordialissimo che ci indicava dove parcheggiare la macchina, prese le piccole valigie e disse: “Vado a parcheggiaree torno per mostrarvi la sistemazione e per registrarvi”.
ll cammino fino alla reception della posada è molto particolare visto che tutto è all’aperto e da un angolo si vede il mare, una scalinata di una ventina di gradini, molto organizzata e ben pulita, sulla destra un salone all’aperto con bellissime decorazioni, ogni persona che incontravamo del personale ci salutava, ci sorrideva e ci dava il buongiorno con un sorriso.
Potrei continuare a scrivere per ore per descrivere quelle bellissime sensazioni.
Delle indescrivibili emozioni, ci sentimmo come a casa nostra, il servizio, l’abitazione, il profumo di quel luogo è ancora dentro di me: vibrazioni positive, un luogo magico, gente incapace di dire “no” ai visitatori, una realtà fatta di dettagli..
Ho sempre detto e pensato che i dettagli ingrandiscono le cose…
Appena arrivati, ci dissero che potevamo fermarci dove volevamo e far un giro per conoscere il luogo mentre ci facevano il check in.
Ci sedemmo nell’enorme giardino adiacente, incontrando altri gentili visitatori e ammirando la maestosità dei grandi alberi che davano un senso di vera pace.
Subito ci portarono un cocktail di benvenuto molto buono, accompagnato con due piccolo empanadas di formaggio. Ma quel cocktail….che spettacolo!
Zero alcool, solo frutta fresca, consistente, al sapore di mora…
E arrivò il momento dell’arrivo in camera…cioccolatini sul letto, musica rilassante dalla tv, frutta fresca nel frigo con la tanto desiderata (per Guido) Coca Cola.. tutto era perfetto.
Dopo aver fatto la doccia ed esserci cambiati, andammo a cenare nel giardino, l’illuminazione creava un ambiente molto romantico.
Le luci ambrate sugli alberi si riflettevano nell’acqua creando un’atmosfera magica.
Facevo fatica a tener la bocca chiusa per esclamare continuamente “WOW!”.
La cena? Posso descriverla così: elegante, semplice, deliziosa e in perfetta sintonia con la musica strumentale di sottofondo.
Dopo la cena con il nostro amico Ronald (lo chiamo amico perché si è comportato da tale) ci informava dettagliatamente come sarebbe stato il tragitto verso Cayo Sombrero del giorno dopo . C’era ancora una cosa che mi preoccupava e non poco : una protezione solare, considerando la mia pelle pallida e non abbronzata.
Pensai che era quasi impossibile conseguirlo nella posada ma con immenso stupore Ronald ci tranquillizzò subito: “Da noi il “NO” non esiste. Datemi un po’ di tempo e domani mattina mi presento alla vostra abitazione con 2 protettori solari per pelli delicate!”. Dopo dieci minuti bussò alla porta della camera dandoci due protettori solari differenti.
Un’altra cosa che voglio menzionare per farvi capire l’attenzione al cliente presente in questo meraviglioso posto: Guido aveva una pasticca sul tavolo e il nostro Ronald arrivò subito con l’acqua perchè la potesse prendere..insomma, svegliatemi..è un sogno!
Il giorno seguente ci alzammo presto e dopo la colazione ci dirigemmo verso il Cayo intorno alle 9,40.
Prima di continuare vorre dire una cosa che sembrerà strana, ma io la trovai divertente: appesi al muro c’erano quattro sombreri a decorarlo grossi quasi come un ombrellone, ne chiesi uno in prestito per il mattino seguente. Chiaramente, lo ottenni.
Verso le otto iniziai a vedere dipendenti della posada ad organizzare sulla lancia ombrelloni , sdraie e tutto ciò che era necessario per rimanere al Cayo. Restai impressionata da tutta quella organizzazione: e fu così che ci imbarcammo con un gruppo di 8 persone, tenendo sempre ben stretto il mio sombrero.
Il percorso verso il Cayo durò 25 minuti, fantastico anche se con un mare un po’ movimentato, ma assolutamente niente di cui lamentarsi.
Arrivati al Cayo era già tutto pronto: gli impiegati della Ardileña preparavano i box lunch, e tutto quanto serviva per mangiare sul mare.
Una cosa divertente fu la faccia di Guido quando si accorse che non c’era la coca cola ma solo la Golden, una bevanda dal sapore simile allo sciroppo per la tosse.
La spiaggia? Impossibile descriverla, ogni parola non basterebbe per raccontare un luogo così meraviglioso.
E così la mattina seguente è giunta l’ora di tornare a casa. Non ricordo quante foto ho fatto alla posada, non volevo andarmene mi sentivo a casa mia..Mentre partivamo dall’Ardileña vidi ancora quell’uccello rosso, la Corocora, che avevo incontrato il giorno prima.
In un tale momento di perfezione, in mezzo a paesaggi inenarrabili, persone e cose bellissime, era difficile non provare un po’ di nostalgia.
Le nostre impronte sono tatuate in quel luogo, è solo un “arrivederci a presto”, ci porteremo sempre dietro quelle sensazioni e quelle emozioni.
Durante il viaggio verso Puerto La Cruz si parlava solo di quello, del relax, del fatto che quel luogo già ci mancasse.Può sembrare un’esagerazione
Solo chi c’è stato può descriverlo e capirlo.
“Quando conosco qualcuno che sembra esistere solo con il proposito di porre attenzione ai dettagli, è amabile è gentile con gli altri, l’unica parola che mi viene in mente è Umiltà.
Ritornerò? Sicuramente si, una volta e mille volte, quasi abbiamo voglia di vivere là, in quel maestoso posto fatto di serenità , pace e momenti indimenticabili che mai lasceranno il mio cuore.
Però non è tutto qui, ci sono altri viaggi da fare e altri luoghi da vedere, sperando di trovare sempre le emozioni e di conoscere le stesse persone che questo viaggio ci ha regalato.
Il nostro viaggio continua, pieno di aspettative e voglia di vivere e di condividere..con voi!”
Alla prossima!
Abby!
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